3 Giugno 2022

Il reato di maltrattamenti in famiglia. Cosa afferma la Cassazione

La Cassazione interviene sul reato di maltrattamenti Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato da un uomo che era stato condannato dalla Corte d’Appello per maltrattamenti in famiglia e lesioni personali nei confronti della madre e della sorella, in presenza del figlio di quest’ultima. Nel presentare ricorso in Cassazione l’imputato con due motivi aveva evidenziato quanto segue: 1. A suo dire la Corte d’Appello aveva erroneamente ritenuto sussistente l’abitualità della condotta di maltrattamenti, senza considerare che i fatti si erano svolti nell’arco di un ridotto periodo di convivenza; 2. Ai fini della configurazione del reato di maltrattamenti nei confronti di un minore è necessario che questi abbia la capacità di percepire il clima di oppressione indotto dalla condotta illecita per cui avendo il figlio della sorella all’epoca dei fatti solo tre mesi di vita, non poteva essere nella condizione di subire conseguenze traumatizzanti. Ma la Suprema Corte nell’accogliere solo parzialmente il ricorso ha voluto sottolineare due importanti principi: a) quello secondo cui l’abitualità nel reato di maltrattamenti in famiglia può essere integrato anche nel caso in cui il compimento di più atti, delittuosi o meno, che determinino sofferenze fisiche o morali, vengano posti in essere in lasso temporale non necessariamente prolungato, a condizione che la protrazione della condotta sia comunque idonea dar luogo ad uno stato di vessazione e soggezione dei familiari conviventi vittima del reato; b) l’altro secondo cui è configurabile il reato di maltrattamenti nei confronti di un infante che assista alle condotte maltrattanti poste in essere in danno di altri componenti della sua famiglia, a condizione che tali condotte siano idonee ad incidere sull’equilibrio psicofisico dello stesso. Pertanto il parziale accoglimento del ricorso è stato determinato dal fatto che la tenera età del minore (di soli tre mesi) era tale da consentire di escludere che questi potesse aver in qualche modo percepito il contesto ambientale e le condotte maltrattanti, escludendo quindi l’applicazione della contestata aggravante. Cass. Pen. Sez. V, ud. 10 maggio 2022 (dep. 31 maggio 2022), n. 21087 Una Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermava la condanna di un uomo per i reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali, riconoscendo le circostanze generiche equivalenti alle contestate aggravanti e, per l’effetto, rideterminava la pena. Avverso la suddetta sentenza l’imputato formulava due motivi di ricorso. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto violazione di legge in relazione all’articolo 572 c.p., sostenendo che la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente l’abitualità della condotta di maltrattamenti, senza considerare che i fatti si erano svolti nell’arco di un ridotto periodo di convivenza. In particolare, l’imputato si era trasferito presso l’abitazione della madre, ove risiedeva anche la sorella, da circa un mese prima della commissione del reato di lesioni personali ai danni della sorella, dal quale scaturiva la presentazione della denuncia. L’unico fatto realmente lesivo dell’integrità fisica dei conviventi, si sarebbe verificato in data xx.xx.xxxx, mentre nel periodo antecedente vi sarebbero stati esclusivamente litigi e discussioni, inidonei a determinare quello stato di vessazione richiesto dall’articolo 572 c.p. Con il secondo motivo, ha dedotto violazione di legge in relazione all’errato riconoscimento dell’aggravante di cui all’ articolo 572, comma 2, c.p. Il ricorrente ha dato atto che ai fini della configurazione del reato di maltrattamenti nei confronti di un minore occorre che questi abbia la capacità di percepire il clima di oppressione indotto dalla condotta illecita. Ha sostenuto il ricorrente che il figlio della sorella avrebbe assistito esclusivamente all’episodio verificatosi il xx.xx.xxxx e, comunque, questi, avendo all’epoca dei fatti solo tre mesi di vita, non era in condizione di subire conseguenze traumatizzanti. COSA HA DETTO LA CORTE DI CASSAZIONE I Giudici della Suprema hanno ritenuto il ricorso fondato nei limiti meglio indicati in motivazione. Il primo motivo è stato considerato infondato. Nelle sentenze di primo e secondo grado era stato compiutamente ricostruito il clima familiare instauratosi a seguito del trasferimento dell’imputato presso l’abitazione materna, nella quale già conviveva anche la sorella dello stesso. La madre e la sorella dell’imputato avevano concordemente fornito un quadro connotato dall’abitualità di offese e minacce che l’imputato rivolgeva con cadenza sostanzialmente quotidiana nei confronti delle predette. Le persone offese avevano specificato che l’uomo aveva instaurato un clima vessatorio all’interno della famiglia, tale da ingenerare fondati timori anche per la propria incolumità fisica. Il contesto che hanno descritto le sentenze di merito, pertanto, rientrava appieno nella nozione di maltrattamenti in famiglia, dovendosi unicamente esaminare se nonostante la brevità della convivenza, circa un mese, si potesse configurare il presupposto dell’abitualità. Ha ritenuto la Corte che al suddetto quesito doveva essere data risposta positiva, dovendosi affermare il principio secondo cui l’abitualità nel reato di maltrattamenti in famiglia può essere integrato anche nel caso in cui il compimento di più atti, delittuosi o meno, che determinino sofferenze fisiche o morali, vengano posti in essere in lasso temporale non necessariamente prolungato, a condizione che la protrazione della condotta sia comunque idonea dar luogo ad uno stato di vessazione e soggezione dei familiari conviventi vittima del reato (in tal senso Sez. 6, n. 25183 del 19/12/2012, Rv.253041; si veda anche Sez.3, n. 6724 del 22/11/2017, dep. 2018, Rv. 272452). Affermano gli Ermellini che la durata complessiva dell’arco temporale entro il quale si manifestano le condotte maltrattanti è un dato tendenzialmente neutro ai fini della configurabilità del reato, salvo restando che, se la convivenza si è protratta per un periodo limitato occorrerà che i maltrattamenti siano posti in essere in maniera continuativa e ravvicinata. Per meglio spiegare, tanto più è ridotto il periodo della convivenza, tanto maggiore deve essere la ripetitività ed offensività delle condotte maltrattanti, affinché si ritenga instaurato quel clima di abituale vessazione della persona offesa che costituisce l’elemento tipico del reato in esame. Nel caso di specie, tale condizione doveva ritenersi verificata, posto che, a prescindere dall’episodio in cui l’imputato ha cagionato lesioni personali alla sorella, le condotte maltrattanti avvenivano con una frequenza, sostanzialmente quotidiana, il che le rende idonee ad integrare il reato di cui all’articolo 572 c.p. nonostante la breve durata della convivenza. I Giudici del Palazzaccio hanno ritenuto, invece, il secondo motivo di ricorso fondato. Hanno premesso che alle condotte maltrattanti e, in particolare, all’episodio verificatosi il xx.xx.xxxx avrebbe assistito il figlio della sorella dell’imputato, che all’epoca aveva solo tre mesi. Ha sostenuto il ricorrente che la tenera età del bambino era tale da non consentirgli di poter consapevolmente percepire l’accaduto, il che determinerebbe il venir meno dell’ipotesi aggravata. Sul tema la Sezione quinta aveva già avuto modo di pronunciarsi con una recente sentenza secondo cui è configurabile il reato di maltrattamenti nei confronti di un infante che assista alle condotte maltrattanti poste in essere in danno di altri componenti della sua famiglia, a condizione che tali condotte siano idonee ad incidere sull’equilibrio psicofisico dello stesso (Sez.6, n. 27901 del 22/09/2020, Rv. 279620). Nel caso di specie, i Giudici della Corte Suprema hanno evidenziato che la tenera età del minore (di soli tre mesi) fosse tale da consentire di escludere che questi potesse aver in qualche modo percepito il contesto ambientale e le condotte maltrattanti, pertanto escludendo l’applicazione della contestata aggravante. L’annullamento limitato alla contestata aggravante ha comportato la trasmissione degli atti alla Corte di Appello per la rideterminazione della pena, fermo restando l’intervenuta irrevocabilità del giudizio di responsabilità sul reato di maltrattamenti.